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Gazzetta del Sud

02/10/2002

Il disastro di Rometta I periti della Procura sono tornati al lavoro Primo sopralluogo

Il ferroviere superstite: «Camminerò di nuovo»

Nuccio Anselmo

La “giornata degli accertamenti” è cominciata presto ieri mattina a Rometta Marea, sul luogo del disastro ferroviario che il 20 luglio scorso provocò la morte di otto persone e il ferimento di altre quarantasette. Ma è servita ai periti della Procura e ai numerosi difensori degli otto indagati solo per un primo contatto, e per stilare un calendario di lavori. Dal prossimo 8 ottobre si comincerà a fare sul serio, e si passeranno ad analizzare nuovamente la tratta ferroviaria, le parti di binario sequestrate dai magistrati, il giunto provvisorio fissato male che è alla base del disastro, il locomotore e le vetture che componevano l'Espresso “Freccia della Laguna”. Ieri si sono recati a Rometta i professori Gaetano Bosurgi, Antonio Risitano e Antonino D'Andrea, che insieme al prof. Giorgio Diana compongono il collegio di periti scelto dai sostituti procuratori Giuseppe Sidoti e Vito Di Giorgio per fare chiarezza sulle cause della tragedia. Il loro lavoro è ancora lungo, così come sarà lunga l'inchiesta che i pm Di Giorgio e Sidoti conducono praticamente senza sosta da quel maledetto pomeriggio del 20 luglio, quando alle 18 e 56 l'Espresso proveniente da Palermo schizzò fuori dai binari e piombò sul casello. Il primo atto “visibile” si è registrato la scorsa settimana, quando i due magistrati hanno inviato otto informazioni di garanzia ad altrettanti indagati, con le accuse di disastro ferroviaro, omicidio colposo e lesioni colpose. Si tratta di due rappresentanti della ditta “Esposito Spa” di Caserta, che pochi giorni prima della sciagura eseguì i lavori di risanamento della tratta di Rometta Marea, e di sei tra funzionari e dipendenti di Rfi (Rete ferroviaria italiana), che avrebbero dovuto vigilare sulle condizioni di sicurezza ma che secondo l'accusa non lo fecero. Sempre ieri il macchinista che è sopravvissuto alla tragedia, il palermitano Marcello Raneri (il suo collega Saverio Nania è morto tra atroci dolori, prigioniero della cabina del locomotore), è stato intervistato dal TG5 a Palermo. Dopo oltre due mesi di degenza al Policlinico di Messina nei giorni scorsi era stato dimesso. Per il momento è costretto su una sedia a rotelle, ma è fiducioso di tornare presto in piedi. Le ferite più gravi da cancellare sono altre, quelle della mente, del dolore per la morte del collega e per le altre vittime della tragedia: «Non so cosa farò in futuro – ha detto ai microfoni del TG5 –, il tempo dirà cosa farò. Io sono fiducioso, tornerò a camminare». Della tragedia il macchinista non ricorda nulla («non so chi era alla guida»), la sua mente s'è fermata «intorno alle 15,45 quando ho preso servizio a Palermo. Poi non c'è niente. Io non pensavo mai di rimanere vittima di una sciagura, nè io nè i miei colleghi. Un macchinista sa che se sbaglia è il primo a morire». Raneri adesso è «sereno, perché non mi ricordo niente e poi perché sono vivo».

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