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Gazzetta del Sud

23/06/2006

Un tratto di costa tra i più belli e suggestivi Riviera Tirrenica delizia degli occhi

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Da Messina a Palermo corre per più di trecento chilometri la riviera tirrenica, uno dei tratti di costa e collinare più belli e suggestivi di tutta la Sicilia. Percorrerla permette al viaggiatore di conoscere ed entrare a contatto con alcune delle realtà più interessanti della nostra terra. Il nostro itinerario parte appena fuori Messina percorrendo il vecchio tracciato della strada statale 113 e toccando alcune delle località più emozionanti dell'immediata periferia di Messina: Torre Faro, Mortelle, Casabianca, Tono, Spartà, Punta Rosocolmo, Santo Saba per arrivare a Villafranca Tirrena. Primo centro della costa tirrenico-peloritana, Villafranca Tirrena è comune dal 1929 con la fusione di Bàuso, Calvaruso e Saponara Villafranca. Menzionato in diplomi aragonesi, il paese fu durante il sec. XVI punto principale di ricovero nella strada Palermo-Messina. Originariamente di proprietà dei Cottone passò nel 1630 ai Principi di Castelnuovo prendendo il titolo di Contea. Di rilievo architettonico sono il castello baronale voluto da Stefano Cottone, la Chiesa Madre con una bellissima Croce dipinta del XVI secolo, il Santuario di Gesù Ecce Homo con all'interno una statua lignea dell'Ecce Homo opera di Gianfranco Pintorno (1600-1639) meglio noto come frà Umile di Petralia. Il 6 dicembre a Villafranca Tirrena si festeggia San Nicola di Bari, Santo Patrono del paese e Patrono delle zitelle. È a lui infatti che le ragazze nubili si rivolgono sperando di ottenere un buon matrimonio. Bellissima la leggenda delle gesta del brigante Pasquale Bruno, le cui gesta trovarono modo di essere raccontate anche da Alexandre Dumas, in un celebre romanzo di fine Ottocento. Tutta la vicenda si svolge attorno al castello di Bauso, fuori del quale per molti anni venne tenuta chiusa in una gabbia la testa del malvivente, che aveva infestato le campagne vicine divenendo il terrore dei ricchi della zona. Risaliamo quindi verso la collina per raggiungere Rometta. Il nome del paese deriva dall'arabo Rameth, che vuol dire mura fortificate, cambiato nel 1100 in Rametta e successivamente nel sec. XVI in Rometta. Non ci pervengono molte notizie storiche sul centro, sappiamo tuttavia che alcuni scavi archeologici hanno individuato tracce di insediamenti umani che si possono fare risalire a diverse epoche passate dalla cultura di Stentinello (4000 A.C.) sino ai Mamertini (288 - 264 A.C.). Tra il 963 e il 965, la piazzaforte bizantina di Rometta fu cinta d'assedio dagli arabi che la saccheggiarono e la incendiarono. Nel 976 fu ricostruita dagli stessi arabi e ripopolata dalle famiglie musulmane che sulle ceneri della città bizantina, Erimata o Remata, fondarono la città - fortezza araba di Ramth. Scendiamo verso la bella pianura che si apre davanti a noi e arriviamo a Milazzo. Il nome originario della cittadina era Mylai, attribuitole dal Greci che la colonizzarono nel 716 a.C., mutato in Milàs durante la dominazione araba e successivamente nell'attuale. L'area di Milazzo, abitata sin dall'epoca neolitica, fu in seguito occupata dai Siculi. Il borgo fu fondato dai Greci nel VIII secolo a.C. e successivamente conquistato dai bizantini e dagli Arabi. Il castello fu costruito in età normanna e fortificato sotto il governo di Alfonso d'Aragona. Durante i secoli XVI, XVII e XVIII la città mutò progressivamente il suo assetto urbanistico, estendendosi verso la zona più pianeggiante. Tra il 1805 e il 1812, durante le guerre napoletane, fu Piazza d'Armi degli Inglesi. Di notevole interesse architettonico sono il Castello Arabo-normanno, il Duomo del XVII secolo, il Santuario di S. Francesco di Paola edificato nel 1465 e restaurato nel sec. XVIII e i numerosi palazzi gentilizi della città bassa, tra cui ricordiamo il Palazzo Carrozza e il neoclassico Palazzo del Municipio. Di grande attrattiva resta ancora oggi la zona del Castello. Il Castello Il Castello, costruito da Federico II di Svevia nel 1239-40, si erge all'interno della cinta aragonese, la quale è caratterizzata da cinque torri a tronco di cono, di cui due nascondono un bellissimo portale di accesso che è sormontato dallo stemma dei reali di Spagna (uno scudo diviso in quattro parti e sorretto dall'aquila di San Giovanni). Il portale ogivale consente l'ingresso al castello incorporando alcune parti più antiche, tra cui la torre centrale. All'interno molto importante è la sala delle cinque campate dove si riunì il Parlamento Siciliano nel 1295. Riprendiamo il nostro viaggio per visitare Castroreale. Il nome della cittadina trae origine da un castello arabo successivamente fortificato dal re Federico II d'Aragona nel sec. XIV. Nel 1522 divenne città regia per concessione di Carlo V. Durante il '500 si registrò una notevole espansione cittadina già iniziata nel secolo precedente. Fu danneggiata da diversi terremoti nel '600 e nel '700, in particolar modo da quello del 1783. Nel 1813 divenne capoluogo di distretto e nel 1848 fu sede di provincia. Tra i monumenti più importanti ricordiamo la Chiesa Madre di Maria Assunta del '400, ampliata nel sec. XVII, la Chiesa di S. Salvatore e la Porta Raineri, l'unica rimasta, del 1800. Particolarmente interessante è la manifestazione religiosa cosiddetta del "Cristo lungo", che si tiene durante la Settimana Santa, il 23 e il 24 agosto durante la quale viene portato in processione un Crocifisso issato su una pertica lunga 12 metri. Proseguiamo per Rodì Milici. Il nome del paese deriva dal greco Rhodìa e Melikos, che significano rispettivamente roseti e meleti. Il centro si chiamò Rodì fino al 1947 quando assunse l'attuale denominazione dopo l'aggregazione del casale di Milici. Le sue origini sono antichissime come testimoniano alcuni reperti archeologici ritrovati in zona, il territorio fu abitato sin dall'età del bronzo, ossia dai secoli XVIII-XV a.C.. Infatti sul monte Ciappa sono stati trovati resti dell'acropoli di Longane, fondata su un pianoro dei Peloritani verosimilmente dagli abitanti autoctoni Sicani, rifugiatisi sui monti all'arrivo dei Siculi. In località Grassorrella si trova una necropoli costituita da tombe a grotticella, risalenti a quel periodo i cui resti ricordano per tipologia quelli delle tombe di Pantalica. I rinvenimenti dell'acropoli e della necropoli testimoniano dunque che la zona era abitata fin dalla preistoria e che la necropoli è strettamente legata all'acropoli di Longane dal momento che il rito della inumazione dei morti era tipico dei Sicani. In seguito e fino al sec. XVIII d.C. la città appartenne ai Cavalieri di S. Giovanni Gerosolomitano. Nel 1582 il centro, gravemente danneggiato da un'alluvione, cominciò ad espandersi più a nord. Fu frazione di Castroreale fino al 1923, quando divenne comune autonomo. Tra i monumenti più importanti ricordiamo i resti del Gran Priorato risalenti ai secoli XIII-XV, la Chiesa di S. Rocco , le due Chiese dedicate a S. Bartolomeo. Negli anni ottanta infatti si è riscoperta sotto una coltre di fango la vecchia Chiesa di S. Bartolomeo, il cui ritrovamento ha fatto ipotizzare un antico insediamento sul greto del fiume da dove i rodiesi si sarebbero spostati a monte, in seguito all'alluvione del 1582. Tutt'oggi visitabile invece è la nuova Chiesa di San Bartolomeo, in stile tardo-rinascimentale costruita, secondo la leggenda, dove si fermarono i buoi che portavano la statua del santo patrono di Rodì. Da vedere vi è anche l'Arco dei Poeti con un mascherone nella chiave di volta che testimonia la presenza di una sezione della scuola poetica siciliana in epoca federiciana, la Chiesa dell'Immacolata, ricostruita all'inizio del' 900 sull'antica chiesa della Madonna dell'Idria dove al suo interno si conserva un altare in marmo della Chiesa di S. Gregorio crollata nel 1908. Da Rodì Milici a Barcellona ci sono pochi chilometri. Il nome della cittadina ha origine dall'omonima città spagnola, mentre l'appositivo deriva dal borgo di Pozzo di Gotto, al quale fu unificata nel 1835. La borgata Pozzo di Gotto esisteva già dal sec. XVI e fu chiamata così perchè sorse attorno a un pozzo scavato da Filippo Gotto. Barcellona fu fondata nel 1639 e appartenne al territorio di Castroreale fino alla metà del sec. XVIII. Di particolare importanza artistica sono la chiesa basilicale dell'Assunta, il Duomo di S. Sebastiano costruito nel 1606 e riedificato nel 1936, la chiesa di S. Vito del '500. Molto importanti sono inoltre i resti archeologici di Località Uliveto, che conservano necropoli dei secoli VI-VII a.C.. Lasciata Barcellona raggiungiamo Terme Vigliatore. Zona già nota nel periodo romano col nome di Fons Veneris (la fonte di Venere ), il paese prende il nome dal vicino fiume Vigliatore (chiamato Vigilator in età romana) e dagli stabilimenti termali presenti nella zona. Divenne comune autonomo nel 1966 e appartenne in precedenza al comune di Castroreale. La frazione Castroreale Terme è sede comunale e zona in cui sorgono gli stabilimenti termali famosi per la cura di malattie del ricambio, cutanee e del fegato. Risale alla seconda metà del I sec. a.c. la Villa Romana sita nella frazione di S. Biagio, che all'interno conserva una bellissima pavimentazione a mosaico. È invece del sec. XVI la Chiesetta della Madonna delle Grazie, eretta sui ruderi di un convento dei padri Benedettini. Ricordiamo che a Terme Vigliatore tipica è l'attività di estrazione di olii essenziali e la produzione di citrato di limone e di succhi agrumari, esportati successivamente in diversi paesi. A pochi chilometri da Terme Vigliatore Tindari. Dall'alto di un promontorio roccioso che si affaccia sul Tirreno, nel golfo di Patti, ad una sessantina di chilometri da Messina, dominano i resti di Tyndaris: una delle ultime colonie fondate dai greci in Sicilia nel IV sec. a. C.. Voluta da Dionisio I a scopo difensivo, Tindari si trasformò in breve tempo in un centro marittimo strategico nelle lotte espansionistiche tra greci, cartaginesi e poi romani, sotto i quali la città conobbe momenti di grande splendore. Nell'836 d. C. giunsero, infine, gli arabi che la distrussero definitivamente. Testimonianze ancora oggi visibili raccontano il passaggio di queste culture attraverso i secoli: il teatro greco (IV sec. a. C.), riadattato dai romani per i loro spettacoli con fiere e gladiatori, occupa una posizione panoramica, così come tutte le architetture di impronta greca che si uniformano in modo esemplare con l'ambiente circostante; il santuario della Madonna Nera (meta di pellegrinaggi) che si erge sull'antica agorà, a precipizio sul mare, con la statua bizantina della Madonna, in legno scuro. L'itinerario archeologico può iniziare dopo la visita al santuario, percorrendo la strada che vi si trova di fronte e che conduce all'Antiquarium, un piccolo museo dove si trova gran parte del patrimonio storico-archeologico di Tindari. Qui sono conservati il plastico del teatro greco, alcuni documenti che raccontano la storia degli scavi, la testa di Augusto e diversi manufatti in ceramica, terracotta e vetro risalenti anche all'età del bronzo. Di grande fascino sono inoltre le Terme (II sec.d.C.), con pavimenti musivi in bianco e nero, il frigidarium con piscina, il tepidarium in cui risulta una struttura per il riscaldamento, e il calidarium in cui è visibile il mosaico del dio Dioniso con la vite. Già nel III sec. a. C. Tindari era protetta da una cinta muraria il cui prospetto evidenzia, ancora oggi, la presenza di torri a struttura massiccia. Ai piedi del promontorio si trovano i cosiddetti laghetti di Marinello, da tempo elevati dalla Regione a Riserva Naturale Orientata. Le prime notizie sulle strisce di sabbia di Marinello, risalenti al 1808, sono riportate nella Carta degli Itinerari della Sicilia. La prima causa che ha portato alla formazione della zona lagunare, è riconducibile intorno agli anni '30, all'epoca della riforma agraria, in conseguenza dell'alienazione dell'asse ecclesiastico, in cui sono state eseguite trasformazioni agricole del bacino del torrente Timeto, opere di disboscamento, che hanno prodotto un incremento di materiale solido e di sedimenti i quali, su rifrazione determinata dal Capo Tindari e per le deviazioni causate da una conoide sottomarina, hanno formato la lingua di sabbia, che in tempi diversi ha creato la laguna. La seconda causa è imputabile alla costruzione delle gallerie autostradali i quali lavori di scavo hanno prodotto il deposito di altri detriti, determinando un incremento della striscia di sabbia. Adesso esistono sette stagni con caratteristiche biologiche estreme, ognuno dei quali vive e si sviluppa autonomamente. I più grandi sono il lago Marinello, isolato dal mare, che ospita vegetazione lacustre e palustre, il Mergolo, detto della Tonnara e il Verde, che hanno assunto carattere marino. Le acque dei laghetti più interni sono dolci, salmastre, mentre le lagune più vicine al mare sono più salate. Fenomeni come le variazioni di marea, le correnti marine, l'evaporazione, l'insabbiamento, l'apporto di materiale detritico, la presenza dei rifiuti, della pianta ailantus e della garipa, tipica della laguna, causano una progressiva riduzione della superficie dei laghetti. In essi è presente un'interessante fauna, costituita da 57 specie vegetali appartenenti a 29 famiglie botaniche ed, in particolare, da alcune specie endemiche piuttosto rare delle acque salmastre come il Piovanello Maggiore, la Xyrichthys novacula, la Pittima Minore, il Giunco pungente, l'Ampelodesmos Mauritanica e l'Albastrello dalle zampe verdastre. Di recente si è costatata la presenza della Buenia affinis, pesciolino di grande importanza scientifica e della vongoletta locale, quasi in estinzione. L'area rappresenta anche il luogo ideale di sosta degli uccelli migratori. La flora è presente in ambienti diversi che vanno dalla vegetazione tipica delle acque salmastre e delle dune, a quella caratteristica della macchia mediterranea - canna arundinaria, erica, mirto, euforbia, fichi d'india, capperi. Venendo meno le lagune sparirebbero le comunità biologiche esistenti in esse. È il torrente Timeto quello che apporta maggiori detriti e sedimenti alle lagune ed è il sistema biologico contenuto in esso che alimenta lo sviluppo della fauna. Purtroppo i laghetti e le distese di sabbia vanno scomparendo a vista d'occhio è questo è dovuto soprattutto al continuo prelevamento di sabbia dal torrente Timeto da destinare ad uso edilizio, impedendo il normale passaggio verso il mare della sabbia, che viene invece trasformata in cave per le costruzioni. Un antico sentiero, realizzato alla fine del secolo scorso e recentemente ripristinato, denominato Antigone, percorre tutta la laguna verso nord, attraversa il canale Nerone, dal nome di un vecchio pescatore del luogo, arrivando alla Rocca Femmina. Da qui è possibile raggiungere un sentiero esterno alla cinta muraria della città antica di Tyndaris che porta al Nuovo Santuario e dal vicino sentiero Coda di Volpe ridiscendere nella zona lagunare di Marinello. Complessivamente la laguna di Marinello si estende su di un'area protetta di 401,25 ettari, di cui 248,13 ettari della Zona A (Riserva integrale) e 153,12 ettari della Zona B (Pre-riserva). Riprendiamo la vecchia statale in direzione Palermo e arriviamo a Patti. Il nome della città deriva dal latino Pactae, che vuol dire stabilito. Il centro fu fondato nel 1094, durante la dominazione del conte Ruggero d'Altavilla. In seguito fu data alle fiamme da Federico II d'Aragona per punire la fedeltà della cittadina agli Angioini. Il centro fu quindi ricostruito, divenendo possesso demaniale, ma nel 1544 venne arso nuovamente dal corsaro Ariadeno Barbarossa. Un nuovo sviluppo urbanistico ed economico si ebbe durante il secolo XVII. Tra i monumenti più importanti ricordiamo la Cattedrale costruita nel sec. XVIII, la Chiesa di S. Michele di epoca medievale e il Santuario della Madonna di Tindari sito nei pressi della cittadina e nota meta di pellegrinaggi, che conserva una statua della "Madonna Nera" in stile bizantino. Interessanti sono inoltre i resti archeologici di una Villa Romana risalenti al sec. II d.C. e rinvenuti a Marina di Patti. Da vedere a Patti la bella Villa Romana. Villa Romana Di recente scoperta, la Villa Romana risale all'età imperiale e si estende su una superficie non inferiore a ventimila metri quadrati. La struttura si compone attorno a un immenso peristilio con un largo portico a colonne, su quest'ultimo sboccano i vari ambienti che si dispongono sui quattro lati. Tra questi la più importante è una grande sala triabsidata, che presenta ancora un mosaico a motivi geometrici e con raffigurazioni di animali domestici e feroci. Essa domina tutto il lato Sud del portico, collegato con essa a mezzo di un grande arco del quale rimangono ancora i piedritti. Le altre sale hanno i pavimenti generalmente costituiti da mosaici policromi a motivi geometrici, ancora ben conservati. Il mosaico più bello è quello del pavimento della sala tricora: di questo si apprezza soprattutto la parte centrale dove compare uno schema detto a cerchi e a mandorle, con motivi geometrici che circoscrivono degli ottagoni raffiguranti animali domestici e fiere in diverso atteggiamento. Il secondo nucleo, sul lato orientale della villa, è carattezzato dalla presenza delle terme, costituite da vasche e pavimenti con suspensurae, praefurarium. La villa venne distrutta da un terribile terremoto avvenuto intorno alla seconda metà del IV secolo d.C. Successivamente si continuò a vivere nella villa anche se su una superficie ridotta. Sempre seguendo il vecchio tracciato della statale che porta a Palermo raggiungiamo Gioiosa Marea. Il nome del paese deriva dalla città di Gioiosa Guardia, distrutta dal terremoto del 1783, i cui abitanti fondarono il nuovo centro. L'appellativo di Marea è stato aggiunto per distinguerla dalla vecchia città. L'antico centro fu fondato nel 1366 dai Vinciguerra sul monte di Gioiosa e abbandonato alla fine del XVIII secolo. Il nuovo nucleo urbano sorse poi sulla costa. Di notevole rilevanza artistica sono la Chiesa Madre dedicata a S. Nicola di Bari, la Chiesa di S. Maria delle Grazie e le Rovine dell'antica Gioiosa Guardia. Interessanti sono inoltre i resti archeologici rinvenuti a nord-est del monte di Gioiosa, risalenti al V sec. a.C.. Prima di arrivare in paese e dopo avere superato il bellissimo lungomare di Patti Marina, una visita ed una sosta la merita il bellissimo e fragile promontorio di Capo Calavà, da dove di gode un bellissimo panorama sulle Isole Eolie, da qui, in estate, facilmente raggiungibili con un servizio di aliscafi. Lasciamo Gioiosa e andiamo incontro ad una delle cittadine più vive e vivaci della provincia di Messina: Brolo, impostasi nel corso di questi ultimi anni come uno dei centri più interessanti e culturalmente stimolanti di tutta la riviera tirrenica. Il paese derivò il suo nome dal termine latino Brolum, che significa campo coltivato. Il paese appartenne alla famiglia feudale dei Lancia fino al sec. XVIII, facendo parte della baronia di Ficarra. Fino alla fine del '600 fu interessato da un notevole sviluppo commerciale, svolgendo un ruolo molto importante per gli scambi che avvenivano attraverso il suo porto tra i vari centri collinari dei Nebrodi. A causa delle piene del 1593 e del 1682 che danneggiarono il paese, il porto fu interrato da torrenti vicini. Nel XVIII secolo divenne un possedimento del Marchese Del Longarino. Tra i monumenti più significativi dal punto di vista architettonico ricordiamo il Castello Medievale eretto nel 1200 e successivamente restaurato, che conserva anche una torre del '400, la cinta muraria del '500 posta a salvaguardia della Rocca, la Chiesa Madre di Maria SS. Annunziata edificata nel 1764 e il Palazzo Baratta.

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