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Rassegna Stampa

Gazzetta del Sud

18/08/1999

-Come il “Brignoli” anche il percorso “Girasì” (che misura 8,5 km) si snoda all'interno del demanio forestale di Rometta

-Tra lecci, douglasie, pini d'Aleppo e fosse della neve

-Marcello Mento

Punto di partenza e di arrivo: Rifugio Portella Vento (750) Altitudine massima: 950 m Lunghezza: 8,540 km Tempo: 3.30-4 ore Difficoltà: impegnativo. Lo hanno chiamato sentiero “Girasì” dal nome della località dove è stato costruito, tutto in legno, il piccolo rifugio in cui è possibile prendere respiro prima di affrontare l'ultimo tratto del percorso che si conclude a Portella Vento. Di certo il tratto in cui salta subito all'occhio il carattere peculiare dei Peloritani, la loro irriducibilità a lasciarsi completamente addomesticare. L'aspro orgoglio di difendere a tutti i costi anche solo un angolo di se stessi dall'uomo, anche quando questo è mosso dal bisogno, dalla necessità (come nel caso dei carbonai di Saponara e dei raccoglitori di erica) e non solo dalla cupidigia e dalla stolidezza di quei gitanti che li deturpano sopraffatti dalla loro bellezza, alla stregua di quegl'invasati che graffiano i dipinti o prendono a martellate le sculture nei musei. A Serra Coddararo, infatti, si fronteggiano il bosco naturale e quello artificiale. Da una parte (a sinistra), sul versante più ripido un bosco fittissimo di Leccio e Frassino, conservatosi proprio a causa del carattere impervio del territorio. Qui i Lecci crescono alti e vigorosi, scampati all'azione dell'uomo che li utilizzava per farne carbone e legna da ardere. Dall'altra parte della vallata i pini marittimi e domestici, frutto dei rimboschimenti che dal 1956 in poi hanno cercato di sanare ferite storiche, dovute al crescente fabbisogno industriale di legname registratosi nel corso del tempo. ITINERARIO – Il percorso è molto vario ed interessante sia sotto il profilo naturalistico, sia sotto l'aspetto socio-economico in quanto con l'aiuto delle tabelle (ce ne sono 31) è possibile capire come vivevano, cosa mangiavano, che attività svolgevano le persone che traevano il loro sostentamento dalla montagna e che con essa avevano un rapporto di compenetrazione, simbiotico quasi, la cui memoria storica va progressivamente scemando. Un itinerario dal profilo altimetrico molto vario, che va dai 750 m. del rifugio di Portella Vento, ai 950 della bellissima pineta di Douglasia (che noi abbiamo avuto la fortuna di ammirare con la nebbia, che le conferisce un fascino tutto particolare) e ai 680 del rifugio Girasì, che è anche il punto più basso di tutto il percorso, per salire ancora fino agli 880 m. di Serra Coddararo e quindi tornare ai 750 del rifugio di partenza. Un percorso indubbiamente impegnativo, non certo per la lunghezza, quanto per il dislivello e per il fatto che in diversi punti si snoda in zone rocciose dove bisogna porre la massima attenzione a causa del terreno sdrucciolevole e perché non tutti i punti più difficili sono dotati di staccionata. L'itinerario prende le mosse dal rifugio di Portella Vento e si inerpica seguendo l'antico tracciato della strada comunale, quella che anticamente collegava, attraverso il crinale, Rometta con Messina, presumibilmente la stessa via che nel tempo seguirono i diversi popoli venuti dalla penisola italiana, a cominciare dai Siculi per insediarsi sul versante tirrenico. Lo stesso sentiero percorso per secoli dai “bordonari” con i loro muli carichi di carbone e ghiaccio e che ancora oggi molti pellegrini di Rometta e di Rocca Valdina seguono per raggiungere il Santuario di Dinnammare in occasione della festa del 4 agosto. Un sentiero che gli operai della Forestale hanno ripulito dalle erbacce e risistemato in quei punti in cui i lastroni di pietra erano stati rimossi, riportando alla luce quasi tutto l'antico tracciato, realizzando così un'opera di grande valenza non solo ambientale, ma anche culturale in previsione di un'organica ricostruzione della vita e dell'economia che si svolgeva a cavallo del crinale dei Peloritani, fin quando non venne realizzata la strada costiera e gli antichi sentieri vennero in buona parte abbandonati. La prima tappa (ci serve anche per prendere fiato) la facciamo mezz'ora più tardi, dopo aver superato un punto panoramico, nei pressi di una radura dove sono evidenti i segni del passaggio di un cinghiale: terreno smosso, alberi scortecciati a causa dello strofinamento per liberarsi dai parassiti. Sui Peloritani il cinghiale venne introdotto nel 1981, diffondendosi rapidamente avendo trovato un habitat ideale, favorito anche dall'assenza di predatori naturali. Poco più in alto, in mezzo ad una macchia molto folta troviamo una fossa delle neve o neviera, altra testimonianza della presenza dell'uomo in montagna. Questa attività veniva svolta regolarmente fino ad una quarantina di anni addietro e contava un notevole numero di addetti in tutta la provincia. In molti dei villaggi della cintura messinese e dei comuni della provincia, i nivaroli venivano chiamati a raccolta al suono della “brogna”. La neve veniva raccolta nella fossa e pressata, dopodiché veniva ricoperta di uno strato di felci e di terra. Nei pressi si trovano i resti di una “zimma” (capanna utilizzata dai carbonai). Sulla sinistra la bella e fittissima pineta di “douglasia“, nei pressi della quale è stato realizzato un punto panoramico da dove è possibile ammirare Monte Scuderi, l'Etna, Montagna Grande, Pizzo Poverello ed altri rilievi peloritani. Cinque minuti e arriviano alla prima delle tre sorgenti, dove da poco è passato un cinghiale. Ancora un paio di centinaia di metri e sbuchiamo sulla strada di crinale per affacciarci sullo Stretto. Abbandoniamo la strada mezzo chilometro più avanti per un sentiero che si apre a destra e che ci conduce davanti ai resti di un edificio in pietra dove dormivano gli operai che parteciparono alla costruzione delle gallerie che dovevano servire al fabbisogno idrico di Rometta. Oltrepassato il secondo punto panoramico, s'incontra un bivio; si piega a destra per arrivare nel bel mezzo di una pineta di pini d'Aleppo e subito dopo su una sterrata: Si va ancora a destra. Intorno sono evidenti i segni lasciati dal devastante incendio del '93. Lasciamo la sterrata e ci inoltriamo in mezzo ad una folta macchia di felci. Al bivio prendiamo a sinistra e ci fermiamo al rifugio “Girasì”, realizzato tutto in legno e nei pressi del quale si trova anche una sorgente: un piccolo paradiso terrestre. Qui, se si vuole si può consumare un rapido spuntino, per poi affrontare l'ultima parte del percorso, che da qui in poi, per un lungo tratto si svolge su una striscia tagliafuoco, all'inizio della quale è stato realizzato un altro punto panoramico che dà sul Golfo di Milazzo. Questa è una zona piena di Lecci, la cui presenza e la cui rigogliosità è presa a parametro dell'equilibrio raggiunto dall'ecosistema peloritano. Oltrepassata Portella Immano comincia una salitella tagliagambe. Il sentiero, in questo tratto corre sul ciglio di un profondo vallone ricoperto di Lecci e Cipressi. Superata la sorgente (che si trova a destra) proseguiamo lasciandoci a sinistra la zona dove si fronteggiano il bosco naturale e quello artificiale. In un punto difficoltoso, caratterizzato da un'accentuata erosione della roccia è stata realizzata una graticciata per dimostrare come si può realizzare un intervento di contenimento del terreno in maniera incruenta. Il sentiero muore naturalmente incontrando la sterrata che proviene dal rifugio di Portella Vento, dove arriviamo con la certezza di avere effettuato un bel percorso: vario, intelligente, emozionante.

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